Il cuore dell'edificio
Aldo era stato tutto nella vita: era stato un poeta e un libero pensatore. Anche felice era stato, una volta o due, ma forse gli era semplicemente sembrato, perché la felicità non esiste. Da giovanissimo parlava molto, ma solo in quanto la gente pareva starlo a sentire. In realtà non avevano niente di meglio da fare, per non annoiarsi. Col tempo Aldo si è stancato di parlare, oppure gli altri hanno smesso di ascoltarlo, il risultato è lo stesso.
A trentadue anni decise di mollare tutto e girare il mondo, ricco solo della propria esperienza. Essendo ancora giovane e inesperto, finì per non varcare mai i confini della città in cui era nato, e dove probabilmente morirà. Ma per tener fede alla propria decisione, iniziò a esplorare tutti i luoghi di quella città, della quale ormai, anni dopo, conosce ogni centimetro quadrato, e anche parte del territorio che la circonda. A piedi, naturalmente, odiava guidare.
Aldo camminava parecchio, difficile si stancasse prima di aver percorso venti o trenta chilometri. Teneva il passo facendo oscillare avanti e indietro un bastone, che aveva trovato su una spiaggia deserta molte albe prima, e intonava a mezza voce brani pop melensi, ispiratori di pensieri coi quali la sua mente volava alta, primo passo verso conclusioni che lui riteneva importanti. Non leggeva molto, Aldo, ignorava quindi se i risultati delle sue meditazioni fossero già dentro qualche libro, scritto da qualcun altro. D'altronde il sapere è come una città: tutte le strade portano al centro, ma non tutte hanno la stessa lunghezza. E poi c'è chi parte dalla periferia, chi dai quartieri alti; chi va a piedi, chi in bici e chi in auto. Questo era il tipo di conclusioni alle quali lo conducevano i suoi pensieri -ispirati dalle canzoni pop, e dal camminare-, e che gli parevano importanti, ignorando se qualcuno le avesse già poste sotto copyright.
In giornate calde come quella che stava per finire, modificava il piano di marcia, concedendosi soste supplementari. Spesso si fermava a fissare la linea di edifici geometricamente coerente, che delimita a sud la periferia della sua città.
Aldo adorava gli edifici. Sapeva come ognuno di essi possieda una propria personalità, e che la loro psicologia è complessa, a volte disposta su diversi piani. Quando le sue peregrinazioni gli facevano scoprire un edificio abbandonato -case, stabilimenti industriali, ce ne sono molti, oltre il fiume-, immancabilmente si fermava di fronte ad esso e, appoggiandosi al suo bastone, interrogava il ferro e il cemento armato, scavando in profondità nell'anima e giù, nel cuore stesso dell'edificio. Voleva capire cosa permettesse loro di sopravvivere alla scomparsa degli esseri che, un tempo, li avevano abitati.
Era questo che lo rendeva affine agli edifici: anche Aldo era sopravvissuto alla scomparsa di molti esseri che, un giorno, avevano abitato in lui.
Visto che la temperatura non accennava a diminuire, nonostante il tramonto ormai prossimo, il giovane si sedette, la schiena appoggiata ad un muricciolo di mattoni mezzo crollato, dal quale spuntavano le sbarre di una recinzione rose dalla ruggine.
Chiuse gli occhi, serrandoli forte. Per qualche secondo rimase a contemplare i lampi arancioni e i disegni in bianco e nero che il nervo ottico mandava al cervello. Socchiudendo le palpebre, osservò il mondo riprendere forma con una dissolvenza lattea.
Si trovava poco fuori la cintura residenziale della città, una serie di collinette a sud, dove una volta spuntavano dal verde case coloniche e cascinali, sistematicamente spazzati via dall'avvicendarsi dei piani regolatori, e rare villette nascoste fra i pini -case padronali ora proprietà di anonimi professionisti che, ristrutturandole, le hanno fornite di nuovi, banali connotati standard.
Aldo tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni la sua fiaschetta d'alluminio ammaccata, e bevve un sorso di gin. Poi rammentò di aver scroccato una Camel a un ragazzo biondo con gli occhiali - aria da scrittore di fantasy e testi di informatica sotto il braccio-, mentre attraversava il quartiere universitario. Era ancora dove l'aveva messa, sopra l'orecchio destro. Però non aveva un accendino, né un fiammifero, e dopotutto era a stomaco vuoto; e poi, non si era ripromesso di smettere di fumare?
Ricollocò la Camel sopra l'orecchio e cominciò a guardarsi intorno, ispezionando quel posto. Rammentare la situazione miseranda delle proprie condizioni gastriche lo aveva reso inquieto: il suo ultimo pasto risaliva a 9 ore prima. Finché non ci pensava era tutto a posto, quindi doveva trovare un diversivo per silenziare il brontolìo dello stomaco, oppure del cibo, eventualità oltremodo improbabile, da quelle parti.
Al di là del muricciolo sul quale poggiava la schiena, qualcosa faceva capolino fra cespugli e rovi; un riflesso verdognolo, o azzurro sbiadito. Aldo si alzò in piedi, per studiare meglio oltre l'intrico di pini posti ai lati di un vialetto sconnesso: un'alternanza di buche e grosse pietre che partiva poco oltre il muro, scomparendo in direzione del riflesso verdognolo, o azzurro sbiadito.
-Oh-oh, la strada nel bosco...- canticchiava Aldo. Non era una canzone pop zuccherosa, ma gli pareva adatta, in quel momento -Dove porti, sentiero misterioso?
Si grattò il petto, sotto la camiciola chiara leggera che, un tempo, era stata celeste, e sollevò il bastone, mormorando qualcosa d'incomprensibile. Circondato dal verde, quasi sfumato nell'aria riverberante d'afa, somigliava ad un albero secolare. Ma era solo un giovane, che qualcuno riteneva addirittura mezzo matto.
Scavalcò il muricciolo e prese il sentiero, facendo attenzione a non inciampare nelle radici degli alberi che spuntavano dal terreno; le sue scarpe non avrebbero sopportato un simile oltraggio. Impiegò qualche minuto ma infine giunse di fronte alla casa.
Era una villetta dalla facciata asimmetrica, le linee ricurve tipiche dell'architettura anni '60. Intonaco bianco e balconcini rivestiti di maiolica verde. Che poi l'intonaco fosse screpolato in più punti e la maiolica avesse perso il suo colore originario, dimostrava semplicemente come il tempo non risparmi nulla e nessuno, e anche gli edifici, con l'età, si riempiono di rughe.
Quella casa invecchiava comunque bene. Dal lato destro, un pergolato di mattoni rossi si affacciava su un giardinetto di dimensioni ridotte, ma sufficienti perché una mezza dozzina di piante -Aldo scrutò discretamente fra i rami, ma purtroppo non erano alberi da frutto- lo mantenessero in una penombra stabile, che arrivava fino al portone, al quale si accedeva tramite tre scalini di marmo bianco.
La casa era completamente abbandonata al degrado, e da molto tempo, ma non era difficile immaginarla come era stata una volta: il vanto di un panciuto dottore, o avvocato, con le unghie ancora sporche di terra. In quel giardino prosperose matrone avevano coltivato gerani, combattendo con servette irrequiete e progenie rubizza che, giocando a palla, minacciava la crescita dei boccioli.
Ma a Aldo tutto questo non interessava.
Fermandosi di fronte alla casa, la fissò per lunghi istanti. Voleva presentarsi, ma era un uomo molto orgoglioso, ed aspettava sempre fossero gli altri ad aprire bocca per primi. La casa era orba, l'unico occhio rotondo, senza più vetri, sopra il portone d'ingresso scrutava Aldo con curiosità. Non doveva ricevere molte visite. L'uomo a sua volta studiava l'edificio; sarebbe potuto entrare, oppure gli ospiti erano poco graditi, da quelle parti? Magari la solitudine aveva trasformato quella casa in una vecchia scontrosa, poco incline a ricevere sconosciuti. Guardò in direzione del portone d'ingresso, socchiuso, e la casa lo invitò. Un invito silenzioso, tipico degli edifici: un leggero scricchiolar d'imposte, uno svolazzare di polvere.
Dentro era tutto in ordine, non un mobile era stato portato via dagli inquilini di un tempo. La polvere regnava dappertutto, polvere gialla e leggera che si sollevava al passare del giovane. Dal portone si accedeva direttamente in salotto, una stanza costruita a più livelli: a destra uno spazio interrato di tre metri per due, con un divano in vinile celeste posto di fronte ad un televisore dal design pop; in fondo a sinistra un soppalco con un mobile bar -fòrmica rivestita d'azzurro e alluminio- e tre sgabelli metallici dalle gambe affusolate, simili ad aironi. Molte bottiglie sulle mensole del mobile. Aldo riconobbe almeno cinque marche di liquori che non venivano più prodotti ormai da parecchi anni. Sorrise.
La casa aveva accettato l'arredamento di buon grado, armonizzando le sue linee con quelle dei mobili, e l'effetto complessivo, nonostante la vistosità di certi accessori, era di equilibrio. Un edificio di buon gusto e spirito d'adattamento, come non se ne progettano più.
-E così,- Disse Aldo alla casa, ghignando, -Sei una di quelle signore che non buttano via niente, eh?
La casa rispose -un raggio di sole filtrò dalle persiane sconnesse, illuminando la vetrina accanto al mobile-bar: argenteria d'altri tempi, servizi da caffè in metallo cromato e plastica. Aldo sorrise di nuovo: una piccola tradizionalista molto civettuola.
Chissà perché gli occupanti se ne erano andati, evidentemente molti anni prima, lasciando così in ordine e non portando via nulla? Dovevano essere molto ricchi, concluse Aldo, o bizzarri, oppure in quella casa era successo qualcosa. Dalla finestra sulla parete occidentale, dei rami, probabilmente spinti dalla forza del vento durante una bufera, erano penetrati all'interno, ma l'edificio aveva resistito bene: poche schegge di vetro sparse per terra, piccole macchie sul pavimento là dove le foglie erano marcite. Nessun danno irreparabile. Una signora di forte fibra, quella casa, dalle sorprendenti capacità di ripresa.
Ma l'aspetto fisico era secondario rispetto a quello che Aldo voleva conoscere: il carattere, il cuore stesso dell'edificio.
La casa non lo aiutava, sembrava molto timida, ma l'uomo intuiva come quella timidezza fosse in realtà forte riserbo. Se voleva penetrare nell'anima dell'edificio, doveva conquistarne la fiducia.
Si diresse verso lo stretto corridoio alla sinistra -pareti coperte da riproduzioni di quadri di Matisse e Klee-, che portava alle camere da letto. Ce n'erano tre, tutte di discrete dimensioni, ma fu una in particolare ad attirare la sua attenzione. Questo perché la casa, nel momento in cui Aldo ne socchiuse la porta, lanciò un gemito prolungato, simile a legno vecchio che scricchioli per l'umidità. L'uomo si arrestò, sollevando lo sguardo e spostandolo lungo il soffitto e le pareti. Socchiuse ulteriormente la porta, forse con maggior delicatezza stavolta, e la casa tacque.
L'avrebbe fatto entrare.
La camera era appartenuta ad una ragazza, anche uno come lui poteva capirlo: cosmetici e bigiotteria da poco prezzo sul piccolo tavolino di fronte allo specchio; colori pastello sotto la polvere di anni, un letto in legno bianco, con motivi dorati dipinti sulla testata, coperto da una trapunta a fiori, rosa e gialla. Aldo non voleva toccare niente, né la casa lo avrebbe d'altronde permesso. La licenza d'entrata che gli aveva concesso non contemplava l'abbandono di quel distacco tipico di chi ancora non sa se fidarsi o meno di un ospite inatteso: l'ambiente era buio, nonostante le finestre dessero ad occidente, e fosse quasi l'ora del tramonto.
Aldo si piazzò al centro della stanza, e non si mosse più.
Come una sorella maggiore estremamente protettiva, la casa rifiutava di offrirgli ulteriori informazioni circa l'antica padrona di quel piccolo universo adolescente. Il giovane rimaneva fermo, apparentemente tranquillo. Aspettava. Desiderava certo sapere chi fosse stata la ragazza -o era ancora una bambina?- che aveva occupato quella camera, ma con gli edifici bisogna essere pazienti. Aldo lo era in somma misura. Aveva imparato presto che correre non porta da nessuna parte.
Al giovane interessavano poco gli esseri umani: se quindi era ansioso di conoscere il segreto custodito da quella casa, era solo per comprendere meglio la casa stessa. Dalle reazioni dell'edificio, dal modo stesso di raccontare storie di un tempo, avrebbe potuto farsi un'idea molto più precisa della sua psicologia, così come, guardando un film, si capisce se al regista interessi o meno il denaro, dal tipo di scarpe che fa calzare alla principale protagonista femminile. Cosa c'entri il denaro con le scarpe di una principale protagonista femminile sarà materia per un altro racconto.
L'apparente tranquillità e mancanza di curiosità di Aldo dovettero convincere la casa, che dopo qualche minuto di assoluta stasi, permise ad un debole raggio di sole morente di baluginare dalle tapparelle socchiuse. Il fascio di luce finiva la sua corsa in un angolo, a lato della porta. Aldo vide il supporto di metallo con i due anelli in cima, dove poggiavano, capovolte, le flebo vuote da secoli. Vide la sedia a rotelle dietro l'armadio a muro, quasi nascosta dietro di esso, e capì la natura del riserbo di quella vecchia casa. Non avrebbe abusato della sua fiducia. Chi veglia sulla memoria è degno di massimo rispetto. Questa somigliava ad una delle conclusioni tipiche di Aldo, una di quelle, però, che non fa differenza se qualcuno l'ha già scritta in un libro.
L'uomo sorrise, e l'edificio capì finalmente che quel giovane gli era amico. Certo si trattava di due anime molto diverse -Aldo non conservava mai nulla, non aveva affatto il culto del passato-, ma sicuramente affini. Potevano chiacchierare, scambiarsi opinioni, anche se si conoscevano da poco: nessuno dei due avrebbe tradito un segreto dell'altro.
E fu esattamente quello che fecero.
Per un paio d'ore Aldo e l'edificio parlarono, così l'uomo conobbe la storia della bambina malata che era morta in quella stanza, una storia che Aldo non ha mai raccontato a nessuno. Tutto quello che abbiamo saputo è che la casa fu una buona amica per la bambina, il conforto dei suoi ultimi giorni. Il resto sono supposizioni: doveva aver rinunciato a molte cose per accudire la sua ospite, quell'edificio, e ciò era assolutamente nobile. Non era stata costruita per fungere da ricovero. Era una bella casa, avrebbe fatto ottima figura in qualsiasi zona residenziale, ad ogni latitudine. Se aveva preferito dedicarsi completamente alla bambina, riservando a se stessa quel po' di cura che la decenza impone, rivelava un altruismo raramente rintracciabile nel cuore degli esseri umani. La morte della piccola non fu che un trapasso dalla condizione di protettrice a quella di custode della memoria. La casa doveva essere ancora abbastanza giovane, a quel tempo, ma evidentemente il succedersi degli eventi al suo interno doveva aver provocato una crisi, seguita da un ripensamento completo del suo ruolo, o forse era semplicemente troppo tardi per diventare la spensierata villetta delle intenzioni del suo progettista, e della famiglia che la fece costruire.
Probabilmente incupì progressivamente, divenne ombrosa, riflettendo l'umore delle persone che continuavano ad abitarla. Una malinconia reciproca che si alimentava nello scambio.
Cominciò a vivere interiormente, ma non si lasciò mai andare del tutto. La sua dignità era fuori discussione, bastava osservare come nessuna infiltrazione di umidità macchiasse le pareti. In seguito tutti gli ospiti l'abbandonarono. Forse il velo grigio che l'aveva ricoperta, forse gli improvvisi scatti d'ira -quando sbatteva finestre e porte, presa da una disperazione così forte da non voler ammettere che la sua piccola amica non ci fosse più-, resta il fatto che se ne andarono una mattina di ottobre: il panciuto signore, la prosperosa matrona e i figli rubizzi. La casa non permise loro di portare via niente, o forse furono loro stessi a decidere di lasciare tutto così com'era, non lo sappiamo.
Da quel momento la casa ha condotto una sobria e decorosa esistenza, fatta di memoria e sogni, e solitudine. Pochi vengono a farle visita -si dice sia infestata da fantasmi-, e in fondo è meglio così.
A lei bastano il vento e la neve, in inverno; le rondini che vengono a nidificare sotto il pergolato e le api, quando il tempo si fa un po' più mite.
Come scoprì Aldo tutte queste cose? E' semplice: la casa gli parlò. Scettici che negherebbero persino l'evidenza, non fosse che nella nostra epoca i mezzi di registrazione dati sono leggermente più precisi che in passato, diranno: fu l'osservazione attenta di alcuni particolari (un calendario sbiadito con una data segnata in rosso, un quadro tolto -chissà perché?- da una parete dove altri tre rimanevano a vegliare, illustrando paesaggi estivi, primaverili ed invernali. Un taglio orizzontale sulla carta da parati nella camera dei signori. Un nido di vespe sotto l'acquaio in cucina) che gli permise di ricostruire la storia dell'edificio, altro che la voce dei mattoni e del cemento! Può darsi sia così, in effetti, ma in sostanza è la stessa cosa: le case non parlano con voce umana.
Prima che Aldo se ne andasse, l'edificio lo sottopose ad una prova, che al giovane sembrò piuttosto un dono: i fari di una macchina di passaggio scintillarono contro una parete, provenienti dalla finestra, percorrendola diagonalmente dall'alto in basso, e Aldo vide.
Vide, proprio sotto il soffitto, una piccola sezione di muro scoperto, un pezzo d'intonaco mancante. Guardò il pavimento, abbassando lo sguardo in verticale partendo dalla crepa. Il blocco di intonaco caduto era lì, giusto accanto al comodino. Aldo si avvicinò, e fu allora che notò qualcosa sotto il detrito, un oggetto rettangolare e dorato: un portaritratti, il cui angolo inferiore sinistro spuntava dal blocco d'intonaco. Aldo intuì che era una foto della bambina, che probabilmente un tempo illuminava il comodino con una luce di speranza. L'edificio l'aveva nascosta, per proteggerla da sguardi indiscreti, mettendole sopra quel pezzo d'intonaco a mo' di coperta, una volta caduta sul pavimento.
Ora permetteva all'uomo di guardarla. Perché?
Aldo non avrebbe mai abusato della fiducia di quella casa. La concessione era in realtà una prova: poteva lanciare uno sguardo fugace all'anima dell'edificio, ma non aveva il diritto di pretendere altro.
Rimase dov'era, ad un metro circa dalla foto, senza avvicinarsi ulteriormente, e limitandosi a guardare ciò che la casa gli permetteva di guardare, a quella distanza: un soffio di capelli biondi, dei lineamenti confusi dalla polvere, poco più.
Dopo un minuto o due, chiuse gli occhi, tenendoli serrati per parecchi secondi: quei pochi tratti, i lineamenti confusi della bambina a cui la casa era stata amica, e che la casa continuava a proteggere oltre la morte, erano dentro di lui, ormai, dietro gli occhi, direttamente nel cervello. Attorno a quei pochi tratti, a quei lineamenti confusi avrebbe potuto, tutte le volte che lo avesse desiderato, ricostruire un volto ed una storia: un volto sempre diverso ed una storia ogni volta più ricca. Quello era il dono della casa, e a Aldo parve addirittura eccessivo.
Uscendo non chiuse la porta; ci avrebbe pensato l'edificio.
Come ricordo di quell'esperienza, prese alcune delle bottiglie di liquori che non venivano prodotti ormai da molto tempo.