Fantasmi al rallentatore
Selezione
La tavola degli elementi
Io sono nato a pagina 20,
è questo che mi rende
moderno.
Preceduto da troppe righe,
troppi capitoli ancora
da leggere.
Ci vorrebbe
infinita pazienza,
e ai dottori del tempio
-purtroppo per loro-
non ne è più rimasta,
dopo tutti quegli anni
passati a cercare
la differenza
fra un bemolle e una virgola.
Io sono nato mascherato,
in un cinema pieno di gente,
a spettacolo
iniziato. Mai avuto aureole
per bluffare.
è questo che mi fa
impazzire.
E' un po'
come il ciclo
delle acque:
un processo fra gocce
compresse nella
stessa gabbia,
dall'aspetto
solo vagamente
simile.
Un tuffo
e l'estate esplode,
luce ultravioletta
rossi accesi
Io sono nato per trascurare
gli amici -per arrivare
in anticipo-
ritrovarli per caso
o per gioco.
Il loro amore
mi fa male
alla testa.
Pulizie pasquali
Stormi di padri,
severi, in volo;
a ciuffi cadono
dai cieli chiusi,
affollati
della stanza,
nella mia disinfestazione
di primavera.
Aero il locale,
purifico l'etere,
dai fiati di nibbio
sbuffati in inverno,
quando il freddo
convince anche me
a ricevere ospiti
non invitati.
Volano ora
con moti flosci,
i padri,
le penne spente
di un colore cenere,
macchie sul muso
e sugli artigli,
voci roche
nei becchi,
che non ricordano
i ritornelli.
Sembravano diversi,
da lontano,
nell'alto di un profondo
cielo chiaro
-credevo
fosse solo quello,
il cielo-
inossidabili.
E leggendari.
Ma era l'ombra del sole
a farli immensi,
non le ali.
Solstizio
è una notte
di stelle generose,
questa,
come quelle
con su scritto:
splenderai.
Nascoste
tra i disegni
e le chitarre,
luccicavano.
è una notte
di stelle nascoste,
rilievi apparenti,
di vento seducente,
falso.
Entra nelle orecchie,
inventa storie che
domani
spaccerò per vere.
è una notte
di minacce.
La luce
si scontrerà col buio.
Una casa
lontano dal mare,
illuminata dai lampi,
attende rannicchiata
la bufera.
Contabilità
Un osservatore,
un commesso,
un clown democratico
sono stato.
La faccia divisa
fra sogni e frenate,
candela bruciata
-un eretico!-
illuso, esauribile,
sospeso fra zero,
Aleph zero e infinito,
senza occhi profetici,
né bocca di prete.
Mi sono
nascosto fra bari
e promesse,
ho fatto amicizia
col fiato,
e la pelle. Con giorni
e minuti,
con ore e con anni.
Ho riso di quelli
che oggi rispetto.
C'erano verdi sfocati
fra i pini,
quando ero
trasparente.
c'era l'odore di polvere
bagnata
con cui il cemento
reagiva
ai temporali estivi.
In mezzo a quella,
complottavano i gatti.
Incontri nella pianura grigioporpora
-è inutile-
disse la Voce in Prestito,
-questa pianura è immensa,
è quasi l'alba, ormai.
La spiaggia è lontanissima-
Intorno a loro,
foglie di vetro fragili,
appena trasparenti.
L'impavido supereroe
sbuffo', nel mistero
fra due vignette,
la sua richiesta all'Artista:
-Se c'è una tassa
da pagare,
qualcosa che vuoi dimenticata
in fretta, o ceduta in pegno;
se vuoi che soffra
al posto tuo per un'azione
precipitosa, o ricreata,
o negata a priori,
dimmelo, e trasformiamo
questa notte fuori corso
in un'orgia di distruzione!
Per bocca dell'Artista
parlò la Voce
-tradendo la sua essenza
di carboncino e china-
parole silenziose:
indicò un punto
fra il naso e il mento
del supereroe.
Che poté proseguire
nella ricerca circolare
dell'Arcinemico,
cedendo per pedaggio
l'incantesimo delle parole
che aveva conservato
per sconfiggerLo.
Bancarotta
Chiedevo che il mio nome
fosse un'eco
-sognavo di sentirlo
venire da lontano,
fingendo fosse un'altra
voce a dirlo,
non la mia,
che non riesce a superare
questa stanza.
Credevo fossi stanco,
già vissuto,
col fiato accartocciato
nel fumo dei polmoni,
milite ignoto in ogni
monumento.
Assiderato
d'argento, in mezzo a tutto
questo ghiaccio
raggio di sole rifiutato,
profumo d'epica
e sudore
Avevo cinque corde
consumate
sulla chitarra acustica.
La voce amplificata.
Un'istantanea nuova
già sbiadita,
una patente
fresca e già scaduta.
Finché
le stelle
mi sono cadute
dalle nocche:
ho aperto il pugno,
non c'erano più.
La mia coperta
Io ho bisogno
di dipendere
per sentirmi
vivo;
io devo andare
indietro con la mente,
continuamente unire
il fuoco all'acqua,
la terra al cielo,
ai fiumi di peccato;
chi mi ha rifiutato
e le ragioni dietro
i loro 'no'.
Sento che ne ho
il potere,
posso provare
-certo!-
missare i ritornelli
con linee blu di basso,
così che le canzoni
-vecchie compagne d'armi-
non suonino stonate
nel ricordo.
Vivendo a capitombolo
senza autorizzazione,
eludo i controllori
andando a piedi,
e mi riposo
dalla confusione
credendo in un Qualcuno
o in un Qualcosa
-dipende dall'umore.
Quando sono coperto
dalle mie dipendenze,
mi sembra di riuscire,
allungando la mano,
a lusingare la notte
perché scritturi
i miei sogni.
Terzo Principio
Ho passato la vita
reagendo,
senza spazio d'azione,
attraverso le fasi.
Ho cercato di amare,
ho le stesse
dimensioni di sempre.
Non allungo le braccia
-pose da crocifissione-
spreco sempre
e poi accumulo ancora:
spiccioli di cose
che tintinnano
di noia nelle tasche
-meglio spenderli
in elemosine,
Dio è un tipo formale.
Sento un battere
e un levare,
sento suoni
di tamburi.
Compatrioti esteri
provano strane ritmiche.
In attesa di mettere
la testa a posto,
spacciare battute
neanche fossero orgasmi,
seguo il tempo.
Malocchio
Nudo come una barricata,
anche per te giungeranno
-vestiti di bisogno-
i giorni avvelenati.
Eccessivo sarai,
irrequieto.
Sempre più insofferente
a patetiche altezze,
dove volano
-meglio, svolazzano-
quei bidelli truccati
da esperti che giudicano
la tua sorte, come la mia;
che hanno carte impiccate
sui muri ad attestare
la loro civiltà.
Armato di amnesie
e di sgarbato orgoglio,
dovrai difenderti
anche dai cieli puri;
perché è da lì che
-sembra-
vengono giù i malocchi,
e in testa a te
ne pioveranno molti.
Prega -da ora!- cose
con ali o piume scure,
di membrana notturna
all'apparenza;
disponi per gli altari
e i sacrifici,
abitua il palmo delle mani
al rosso.
Per la pioggia gelata
-scenografia delle attese-
e le cortigiane
sbuffanti tempesta,
alle quali
non potrai dire no
che tu sia
fin da ora
benedetto.
Veleno
Giorni di colori
senza vergogna,
sono stati.
Ammetto di averli
mangiati via.
Vivevo all'altezza
dei miei miti:
bucce d'arancia
che hanno cominciato
a gemere di acidità
solo quand'erano
già scese
nello stomaco.
Ho riempito
il mio tempo
di pause.
Spazzolavo
la mia dipendenza,
spaventato
dalla velocità
con cui la polvere
la ricopriva.
Poi l'accampamento
delle conoscenze casuali,
che la necessità
camuffa d'amicizia,
si è trasferito
a nord.
Spero che la guerra
li sorprenda nel
sonno che chiamano
vita.
Li credevo
giorni avvelenati.
Non ho rimpianti
troppo ruffiani
per farne
film nostalgici.
Paria
Voglia d'eremitaggio,
guardare il mondo sopra
un guscio d'uovo,
lontano dalle spiagge
di attricette e dai
dottori in carneficina.
La vita scriverà
il mio epitaffio, una Voce
testimonierà per me
-non c'è parola
scritta o detta o letta
che riesca a risparmiarmi
questo attrito.
Giustifico con pelle
scorticata il mondo,
e tutti gli arsenali
che contiene.
La gravità mi atterra
faccia in giù.
Prima corroso,
poi restaurato,
infine tatuato
a fuoco
dalla Legge
dell'Inadempienza,
ho perso molto tempo.
Gli uomini riuniscono
dibattiti, assemblee
cortei e collettivi
solo per specchiarsi
nella solitudine
degli altri uomini.
Le decisioni definitive
le prende l'Entropia,
o la poesia,
o Chi per loro.
Le sale dei Re
Cammino con l'eco
nei tacchi,
e le sale dei Re
risuonano
-vuote anche dell'aria,
che non vuole sostarvi:
si vergogna
dei fregi scolpiti,
degli arazzi,
di quelle colonne
che sorreggono
volte dipinte.
Dalle porte
che si aprono ovunque,
sbuffa un buio
più denso del Male
-Compromesso
è il suo nome;
e i suoi occhi
sono tiepidi,
rassicuranti,
educati,
intelligenti.
Io sono nato a pagina 20,
è questo che mi rende
moderno.
Preceduto da troppe righe,
troppi capitoli ancora
da leggere.
Ci vorrebbe
infinita pazienza,
e ai dottori del tempio
-purtroppo per loro-
non ne è più rimasta,
dopo tutti quegli anni
passati a cercare
la differenza
fra un bemolle e una virgola.
Io sono nato mascherato,
in un cinema pieno di gente,
a spettacolo
iniziato. Mai avuto aureole
per bluffare.
è questo che mi fa
impazzire.
E' un po'
come il ciclo
delle acque:
un processo fra gocce
compresse nella
stessa gabbia,
dall'aspetto
solo vagamente
simile.
Un tuffo
e l'estate esplode,
luce ultravioletta
rossi accesi
Io sono nato per trascurare
gli amici -per arrivare
in anticipo-
ritrovarli per caso
o per gioco.
Il loro amore
mi fa male
alla testa.
Pulizie pasquali
Stormi di padri,
severi, in volo;
a ciuffi cadono
dai cieli chiusi,
affollati
della stanza,
nella mia disinfestazione
di primavera.
Aero il locale,
purifico l'etere,
dai fiati di nibbio
sbuffati in inverno,
quando il freddo
convince anche me
a ricevere ospiti
non invitati.
Volano ora
con moti flosci,
i padri,
le penne spente
di un colore cenere,
macchie sul muso
e sugli artigli,
voci roche
nei becchi,
che non ricordano
i ritornelli.
Sembravano diversi,
da lontano,
nell'alto di un profondo
cielo chiaro
-credevo
fosse solo quello,
il cielo-
inossidabili.
E leggendari.
Ma era l'ombra del sole
a farli immensi,
non le ali.
Solstizio
è una notte
di stelle generose,
questa,
come quelle
con su scritto:
splenderai.
Nascoste
tra i disegni
e le chitarre,
luccicavano.
è una notte
di stelle nascoste,
rilievi apparenti,
di vento seducente,
falso.
Entra nelle orecchie,
inventa storie che
domani
spaccerò per vere.
è una notte
di minacce.
La luce
si scontrerà col buio.
Una casa
lontano dal mare,
illuminata dai lampi,
attende rannicchiata
la bufera.
Contabilità
Un osservatore,
un commesso,
un clown democratico
sono stato.
La faccia divisa
fra sogni e frenate,
candela bruciata
-un eretico!-
illuso, esauribile,
sospeso fra zero,
Aleph zero e infinito,
senza occhi profetici,
né bocca di prete.
Mi sono
nascosto fra bari
e promesse,
ho fatto amicizia
col fiato,
e la pelle. Con giorni
e minuti,
con ore e con anni.
Ho riso di quelli
che oggi rispetto.
C'erano verdi sfocati
fra i pini,
quando ero
trasparente.
c'era l'odore di polvere
bagnata
con cui il cemento
reagiva
ai temporali estivi.
In mezzo a quella,
complottavano i gatti.
Incontri nella pianura grigioporpora
-è inutile-
disse la Voce in Prestito,
-questa pianura è immensa,
è quasi l'alba, ormai.
La spiaggia è lontanissima-
Intorno a loro,
foglie di vetro fragili,
appena trasparenti.
L'impavido supereroe
sbuffo', nel mistero
fra due vignette,
la sua richiesta all'Artista:
-Se c'è una tassa
da pagare,
qualcosa che vuoi dimenticata
in fretta, o ceduta in pegno;
se vuoi che soffra
al posto tuo per un'azione
precipitosa, o ricreata,
o negata a priori,
dimmelo, e trasformiamo
questa notte fuori corso
in un'orgia di distruzione!
Per bocca dell'Artista
parlò la Voce
-tradendo la sua essenza
di carboncino e china-
parole silenziose:
indicò un punto
fra il naso e il mento
del supereroe.
Che poté proseguire
nella ricerca circolare
dell'Arcinemico,
cedendo per pedaggio
l'incantesimo delle parole
che aveva conservato
per sconfiggerLo.
Bancarotta
Chiedevo che il mio nome
fosse un'eco
-sognavo di sentirlo
venire da lontano,
fingendo fosse un'altra
voce a dirlo,
non la mia,
che non riesce a superare
questa stanza.
Credevo fossi stanco,
già vissuto,
col fiato accartocciato
nel fumo dei polmoni,
milite ignoto in ogni
monumento.
Assiderato
d'argento, in mezzo a tutto
questo ghiaccio
raggio di sole rifiutato,
profumo d'epica
e sudore
Avevo cinque corde
consumate
sulla chitarra acustica.
La voce amplificata.
Un'istantanea nuova
già sbiadita,
una patente
fresca e già scaduta.
Finché
le stelle
mi sono cadute
dalle nocche:
ho aperto il pugno,
non c'erano più.
La mia coperta
Io ho bisogno
di dipendere
per sentirmi
vivo;
io devo andare
indietro con la mente,
continuamente unire
il fuoco all'acqua,
la terra al cielo,
ai fiumi di peccato;
chi mi ha rifiutato
e le ragioni dietro
i loro 'no'.
Sento che ne ho
il potere,
posso provare
-certo!-
missare i ritornelli
con linee blu di basso,
così che le canzoni
-vecchie compagne d'armi-
non suonino stonate
nel ricordo.
Vivendo a capitombolo
senza autorizzazione,
eludo i controllori
andando a piedi,
e mi riposo
dalla confusione
credendo in un Qualcuno
o in un Qualcosa
-dipende dall'umore.
Quando sono coperto
dalle mie dipendenze,
mi sembra di riuscire,
allungando la mano,
a lusingare la notte
perché scritturi
i miei sogni.
Terzo Principio
Ho passato la vita
reagendo,
senza spazio d'azione,
attraverso le fasi.
Ho cercato di amare,
ho le stesse
dimensioni di sempre.
Non allungo le braccia
-pose da crocifissione-
spreco sempre
e poi accumulo ancora:
spiccioli di cose
che tintinnano
di noia nelle tasche
-meglio spenderli
in elemosine,
Dio è un tipo formale.
Sento un battere
e un levare,
sento suoni
di tamburi.
Compatrioti esteri
provano strane ritmiche.
In attesa di mettere
la testa a posto,
spacciare battute
neanche fossero orgasmi,
seguo il tempo.
Malocchio
Nudo come una barricata,
anche per te giungeranno
-vestiti di bisogno-
i giorni avvelenati.
Eccessivo sarai,
irrequieto.
Sempre più insofferente
a patetiche altezze,
dove volano
-meglio, svolazzano-
quei bidelli truccati
da esperti che giudicano
la tua sorte, come la mia;
che hanno carte impiccate
sui muri ad attestare
la loro civiltà.
Armato di amnesie
e di sgarbato orgoglio,
dovrai difenderti
anche dai cieli puri;
perché è da lì che
-sembra-
vengono giù i malocchi,
e in testa a te
ne pioveranno molti.
Prega -da ora!- cose
con ali o piume scure,
di membrana notturna
all'apparenza;
disponi per gli altari
e i sacrifici,
abitua il palmo delle mani
al rosso.
Per la pioggia gelata
-scenografia delle attese-
e le cortigiane
sbuffanti tempesta,
alle quali
non potrai dire no
che tu sia
fin da ora
benedetto.
Veleno
Giorni di colori
senza vergogna,
sono stati.
Ammetto di averli
mangiati via.
Vivevo all'altezza
dei miei miti:
bucce d'arancia
che hanno cominciato
a gemere di acidità
solo quand'erano
già scese
nello stomaco.
Ho riempito
il mio tempo
di pause.
Spazzolavo
la mia dipendenza,
spaventato
dalla velocità
con cui la polvere
la ricopriva.
Poi l'accampamento
delle conoscenze casuali,
che la necessità
camuffa d'amicizia,
si è trasferito
a nord.
Spero che la guerra
li sorprenda nel
sonno che chiamano
vita.
Li credevo
giorni avvelenati.
Non ho rimpianti
troppo ruffiani
per farne
film nostalgici.
Paria
Voglia d'eremitaggio,
guardare il mondo sopra
un guscio d'uovo,
lontano dalle spiagge
di attricette e dai
dottori in carneficina.
La vita scriverà
il mio epitaffio, una Voce
testimonierà per me
-non c'è parola
scritta o detta o letta
che riesca a risparmiarmi
questo attrito.
Giustifico con pelle
scorticata il mondo,
e tutti gli arsenali
che contiene.
La gravità mi atterra
faccia in giù.
Prima corroso,
poi restaurato,
infine tatuato
a fuoco
dalla Legge
dell'Inadempienza,
ho perso molto tempo.
Gli uomini riuniscono
dibattiti, assemblee
cortei e collettivi
solo per specchiarsi
nella solitudine
degli altri uomini.
Le decisioni definitive
le prende l'Entropia,
o la poesia,
o Chi per loro.
Le sale dei Re
Cammino con l'eco
nei tacchi,
e le sale dei Re
risuonano
-vuote anche dell'aria,
che non vuole sostarvi:
si vergogna
dei fregi scolpiti,
degli arazzi,
di quelle colonne
che sorreggono
volte dipinte.
Dalle porte
che si aprono ovunque,
sbuffa un buio
più denso del Male
-Compromesso
è il suo nome;
e i suoi occhi
sono tiepidi,
rassicuranti,
educati,
intelligenti.
La giornata di un Vampiro
Giuro
che non ho colpe
se l'alba mi ritrova
a protestare
di vivere una vita
all'incontrario
-legno e aglio-
e correre
a nascondermi nel buio
della mia vecchia cassa.
Non riesco proprio
a farmi una ragione,
dei denti da demonio
che ho nel cuore;
del marchio
sulla mia anima dannata
che brucia quando tento
di pregare.
Io seguo
-sopra i muri,
dentro i treni-
lo spirito
del moto relativo,
parente stretto
del libero arbitrio.
Nell'ordalia
di un vivere apparente,
quando il silenzio
è rotto dall'armonia
del sangue,
-caldo innocente
eretico, senza belletto
in faccia- volo a caccia.
Temo l'alba
per la luce che porta.
Buona fortuna
a prede e predatori,
che vinca il migliore.
Stretto fra queste stecche,
Steso sulla mia terra,
bestemmio la Sete,
gonfio di desideri,
fino alla fine del giorno.
Mimosa
Mondi,
e in mezzo lo spazio
di azioni, rinunce,
complicità impossibili,
verbi.
Scintille nei capelli,
un equilibrio instabile.
Fra noi una linea d'acqua
che non attraversiamo.
Parole,
confessarci tutto,
peccati e nostalgie,
rifiuti e concessioni,
trionfi.
Resto a guardarti, fermo
-affamato di bisogno,
stanco-
oltre la linea d'acqua
che ci separa.
Rimetterei
a nuovo la mia barca
per raggiungerti,
ma ho in cantiere
transatlantici
su commissione.
Ricordo l'alba
più definitiva
che ho visto,
la paura nauseante
che provai.
E la sete.
Rimango a fissarti
oltre la linea d'acqua.
Una del posto
Se tu esisti ancora,
allora
la mia canzone è vecchia.
La tua carta magnetica
non compra
la copia omaggio
delle mie promesse.
Oggi il tuo viso
è un fotogramma
bianco:
i tuoi colori assorbono
il freddo della luce.
Bagnato da uno strano
temporale,
ero in un posto
che non conoscevo.
Persi la parte
clou dello spettacolo
-il sangue e l'acqua-
cercavo te.
Divina periferica,
stella marina fossile,
vorrei apprezzarti
ma non ti perdono.
L'intervallo fra i nostri
Silenzi
l'ho riempito
con troppa gente.
Dovresti vergognarti
di essere viva.
Non ha saputo attendere
Smarrito come un'onda
che il vento modella
e comanda,
e lei canta
una brutta melodia
che sa di tropici,
crollando esausta
sulla sabbia
di una spiaggia del nord.
La mia canzone
ha il fiato spento.
Un'ombra timida ai bordi
di una notte -stellata
come poche- che aspetta
il trionfo della luna.
Nei Tuoi occhi di neve
la mia condizione:
senza fiammiferi
nel fondo di un pozzo
chiuso in diverse stanze
nello stesso edificio
Sei sparita in un
soffio di gente;
e vorrei
visionare il Tuo commiato
fotogramma dopo fotogramma.
Perché ho visto il fatto
-sicuro!-
ma non ho le prove.
Con la pioggia, scarpe di gomma...
...comincia a piovere,
temporale estivo,
tutto goccioloni e umidità,
e polvere: un muro,
rallenta il cammino.
-Gesù, che male ai piedi..-
pensa la prostituta
nell'anima devota
della ragazzina
che scala il monte
insieme al gruppo.
-e non si arriva mai...-
L'Umore elettrico
venuto dal Cielo
crepita intorno al corpo
ed entra, bussando
ai nuclei nelle
cellule timide
dell'organismo. Urla,
nella tempesta statica,
la donna in divenire
-qualcuno fra i compagni,
in contumacia quasi
con se stesso, già pensa
a quella gita rovinata,
alle promesse che
Dio non mantiene-
e prima che il sistema
dei segnali vada in corto,
la tinta fugga via
dalle sue guance:
-Perdono- chiede
-abbi pietà di me,
Fantasma della scienza,
se i tacchi di metallo
-anfibi da battaglia-
mordevano i talloni,
se l'andatura buffa
che tenevo,
era diversa dal passo
sportivo
dei miei compagni
di confessionale.
Pensavo che i miei piedi,
consumati,
mi avrebbero abbassata
in Tua presenza.
Ho dubitato della loro forza-
Credendo fosse stato quello
a scatenare
la collera
meccanica
dell'Elettricità.
Poesie, frustrazione e Michelle Pfeiffer
E' la devastazione
che mi porto dentro
a riordinare in cesti
le mie frasi,
portarle all'inceneritore,
e macinarle in rime
con il fuoco.
Dai pezzi di vetro
che mi riflettono,
in fondo a un pozzo
dove è vietato
l'ingresso al sole,
complottano pensieri
sempre meno prigionieri
delle nuvole.
Sanno riscattare
i ricatti di Dio,
allenati per i mondiali.
Nel loro tirocinio
hanno capito
che un'attrice
ama il modo in cui
la telecamera
impara a dirle 'sì'.
La focale si adatta
alla profondità di campo,
ma nell'interno
della macchina
un orco bambino
usa la luce esterna
per registrare tutto
su nastro magnetico.
Campionato del mondo
Ho scelto di perderla
prima di cominciare
a dipendere da lei;
prima che la successione
degli schemi tattici
rendesse il gioco
una gara prevedibile.
Sapevo che un raggio
di sole, la sostituzione,
e il rossore concesso
dai fari all'azione
degli ospiti,
avrebbero dato una scossa
alla vecchia riserva che,
muta in panchina,
non si arrendeva.
E ancora sperava
in un posto nella rosa.
Potrei conoscere i segreti
che legano le sue parole
in frasi; l'acqua
dove Francesca
si bagna i piedi,
prima di andare a caccia
di punizioni; i tiri ad arco.
Dividere con lei ogni vittoria.
Ma non arriverei neanche
ai quarti di finale,
perché non troverei
la grinta, e la pazienza,
perché comunque
non so simulare.
Vederla schierata,
in una favolosa
cerimonia d'apertura
-salutata da tutto
lo Stadio-
senza possibilità
di vincerla,
sarà la mia
condanna.
Guardo lo schermo
elettrico,
sopra gli spalti:
quei suoi
gesti abituali...
(...che un artista
non potrebbe
scolpire).
L'Antartide
Voltati senza parlare:
non lo sapremo mai.
Ti guarderò i capelli
un'altra volta, o due,
poi me ne andrò in Antartide.
Con gli occhi oltre frontiera,
spacciati alla dogana
per grandangoli.
Registro i tuoi capelli,
li porterò con me.
Perché è così?
Dov'è la soluzione?
Se c'è, come trovare
una risposta? Ballando
in un mediocre capodanno?
Organizzando guerre di parole,
gli occhi in apnea di un gatto
che fissa un vetro rotto?
La star popolare che è in me
suona assoli sempre più lunghi.
L'assassino che è in me
conosce le tue pause,
ha letto le pagelle,
sbirciato nel cassetto
di paure.
Per le vendette
C'è ancora tempo,
tempo a sufficienza,
prima che i ghiacci eterni
si formino all'interno
dei circuiti.
Al crocevia
-occhi fuori fuoco
per non vedere
le stesse cicatrici
spacciare graffi per indulgenze-
una cena anoressica
prima della partenza
-benvenuto in Antartide,
canteranno le barriere-
Ho una veglia ancora
da spendere.
La riempirò di inerzia
-morte all'attrito!
Mi copro bene la testa
col cappuccio
delle mie dipendenze.
Custode a priori
del bianco impossibile
dell'Antartide.
Alto
Sopra,
in alto senza
piume d'ali,
chiaro come vetro
soffiato via
in un vortice
di bolle calde.
Raggio
di sole fragile,
intermittente
nel volo.
Questi sono
i miei cieli,
le mie correnti
eterne,
ascensionali.
Questa è la mia
immensa nostalgia
per quella terra
dov'è possibile
la meraviglia
dell'Amore.
Io credo che
l'inverno
finirà.
Non prego
per la giusta
direzione,
seguo la pioggia,
e quelle nuvole malate,
gonfie in cielo:
Fenici bianche
ancora da bruciare.
Buone notti d'inverno
(un commiato)
Faceva freddo
dentro la macchina.
C'era sempre
qualcuno che dormiva,
nonostante la musica,
nonostante le chiacchiere;
il rumore ci teneva
occupati,
mentre il tempo fuggiva,
i treni passavano
indifferenti
alla nostra indifferenza,
alla cenere sporca di
giuramenti sul Big Bang,
umida di barzellette,
colpevole di gioventù
Chiudevamo la notte
augurandoci
Buon Domani.
Senza limiti.
Quei commiati sono le radici
della filosofia obliqua
che, attraverso gli anni,
si è rivelata essere
il pacemaker dei miei giorni.
Il mondo dei grandi
Il mondo dei grandi
è uno strano mondo;
un posto dove noia
e frustrazione
innalzano basiliche
di carta,
e chi vorrebbe stare
nei cortili
-a prendere la pioggia,
o per giocare-
viene mandato
a servire messa.
è un covo di pagani
e idolatria,
di compromessi,
di assassini tossici;
le chiavi di
mancati tradimenti
in tasca, accanto
al portafogli.
I bimbi amano il sole.
Loro vedranno
cose che io non vedrò.
I grandi sono schiavi
della tecnica,
le bombe sono il tuono
della Forza
che manca nelle loro
voci bianche.
Che i muri dei motel
siano distrutti!
Che i porci senza debiti
vengano dati in pasto
ai loro cani.
Se un Padre resta sordo
al canto o al pianto
dell'ultimogenito,
venga sepolto senza
cerimonia.
Giuro
che non ho colpe
se l'alba mi ritrova
a protestare
di vivere una vita
all'incontrario
-legno e aglio-
e correre
a nascondermi nel buio
della mia vecchia cassa.
Non riesco proprio
a farmi una ragione,
dei denti da demonio
che ho nel cuore;
del marchio
sulla mia anima dannata
che brucia quando tento
di pregare.
Io seguo
-sopra i muri,
dentro i treni-
lo spirito
del moto relativo,
parente stretto
del libero arbitrio.
Nell'ordalia
di un vivere apparente,
quando il silenzio
è rotto dall'armonia
del sangue,
-caldo innocente
eretico, senza belletto
in faccia- volo a caccia.
Temo l'alba
per la luce che porta.
Buona fortuna
a prede e predatori,
che vinca il migliore.
Stretto fra queste stecche,
Steso sulla mia terra,
bestemmio la Sete,
gonfio di desideri,
fino alla fine del giorno.
Mimosa
Mondi,
e in mezzo lo spazio
di azioni, rinunce,
complicità impossibili,
verbi.
Scintille nei capelli,
un equilibrio instabile.
Fra noi una linea d'acqua
che non attraversiamo.
Parole,
confessarci tutto,
peccati e nostalgie,
rifiuti e concessioni,
trionfi.
Resto a guardarti, fermo
-affamato di bisogno,
stanco-
oltre la linea d'acqua
che ci separa.
Rimetterei
a nuovo la mia barca
per raggiungerti,
ma ho in cantiere
transatlantici
su commissione.
Ricordo l'alba
più definitiva
che ho visto,
la paura nauseante
che provai.
E la sete.
Rimango a fissarti
oltre la linea d'acqua.
Una del posto
Se tu esisti ancora,
allora
la mia canzone è vecchia.
La tua carta magnetica
non compra
la copia omaggio
delle mie promesse.
Oggi il tuo viso
è un fotogramma
bianco:
i tuoi colori assorbono
il freddo della luce.
Bagnato da uno strano
temporale,
ero in un posto
che non conoscevo.
Persi la parte
clou dello spettacolo
-il sangue e l'acqua-
cercavo te.
Divina periferica,
stella marina fossile,
vorrei apprezzarti
ma non ti perdono.
L'intervallo fra i nostri
Silenzi
l'ho riempito
con troppa gente.
Dovresti vergognarti
di essere viva.
Non ha saputo attendere
Smarrito come un'onda
che il vento modella
e comanda,
e lei canta
una brutta melodia
che sa di tropici,
crollando esausta
sulla sabbia
di una spiaggia del nord.
La mia canzone
ha il fiato spento.
Un'ombra timida ai bordi
di una notte -stellata
come poche- che aspetta
il trionfo della luna.
Nei Tuoi occhi di neve
la mia condizione:
senza fiammiferi
nel fondo di un pozzo
chiuso in diverse stanze
nello stesso edificio
Sei sparita in un
soffio di gente;
e vorrei
visionare il Tuo commiato
fotogramma dopo fotogramma.
Perché ho visto il fatto
-sicuro!-
ma non ho le prove.
Con la pioggia, scarpe di gomma...
...comincia a piovere,
temporale estivo,
tutto goccioloni e umidità,
e polvere: un muro,
rallenta il cammino.
-Gesù, che male ai piedi..-
pensa la prostituta
nell'anima devota
della ragazzina
che scala il monte
insieme al gruppo.
-e non si arriva mai...-
L'Umore elettrico
venuto dal Cielo
crepita intorno al corpo
ed entra, bussando
ai nuclei nelle
cellule timide
dell'organismo. Urla,
nella tempesta statica,
la donna in divenire
-qualcuno fra i compagni,
in contumacia quasi
con se stesso, già pensa
a quella gita rovinata,
alle promesse che
Dio non mantiene-
e prima che il sistema
dei segnali vada in corto,
la tinta fugga via
dalle sue guance:
-Perdono- chiede
-abbi pietà di me,
Fantasma della scienza,
se i tacchi di metallo
-anfibi da battaglia-
mordevano i talloni,
se l'andatura buffa
che tenevo,
era diversa dal passo
sportivo
dei miei compagni
di confessionale.
Pensavo che i miei piedi,
consumati,
mi avrebbero abbassata
in Tua presenza.
Ho dubitato della loro forza-
Credendo fosse stato quello
a scatenare
la collera
meccanica
dell'Elettricità.
Poesie, frustrazione e Michelle Pfeiffer
E' la devastazione
che mi porto dentro
a riordinare in cesti
le mie frasi,
portarle all'inceneritore,
e macinarle in rime
con il fuoco.
Dai pezzi di vetro
che mi riflettono,
in fondo a un pozzo
dove è vietato
l'ingresso al sole,
complottano pensieri
sempre meno prigionieri
delle nuvole.
Sanno riscattare
i ricatti di Dio,
allenati per i mondiali.
Nel loro tirocinio
hanno capito
che un'attrice
ama il modo in cui
la telecamera
impara a dirle 'sì'.
La focale si adatta
alla profondità di campo,
ma nell'interno
della macchina
un orco bambino
usa la luce esterna
per registrare tutto
su nastro magnetico.
Campionato del mondo
Ho scelto di perderla
prima di cominciare
a dipendere da lei;
prima che la successione
degli schemi tattici
rendesse il gioco
una gara prevedibile.
Sapevo che un raggio
di sole, la sostituzione,
e il rossore concesso
dai fari all'azione
degli ospiti,
avrebbero dato una scossa
alla vecchia riserva che,
muta in panchina,
non si arrendeva.
E ancora sperava
in un posto nella rosa.
Potrei conoscere i segreti
che legano le sue parole
in frasi; l'acqua
dove Francesca
si bagna i piedi,
prima di andare a caccia
di punizioni; i tiri ad arco.
Dividere con lei ogni vittoria.
Ma non arriverei neanche
ai quarti di finale,
perché non troverei
la grinta, e la pazienza,
perché comunque
non so simulare.
Vederla schierata,
in una favolosa
cerimonia d'apertura
-salutata da tutto
lo Stadio-
senza possibilità
di vincerla,
sarà la mia
condanna.
Guardo lo schermo
elettrico,
sopra gli spalti:
quei suoi
gesti abituali...
(...che un artista
non potrebbe
scolpire).
L'Antartide
Voltati senza parlare:
non lo sapremo mai.
Ti guarderò i capelli
un'altra volta, o due,
poi me ne andrò in Antartide.
Con gli occhi oltre frontiera,
spacciati alla dogana
per grandangoli.
Registro i tuoi capelli,
li porterò con me.
Perché è così?
Dov'è la soluzione?
Se c'è, come trovare
una risposta? Ballando
in un mediocre capodanno?
Organizzando guerre di parole,
gli occhi in apnea di un gatto
che fissa un vetro rotto?
La star popolare che è in me
suona assoli sempre più lunghi.
L'assassino che è in me
conosce le tue pause,
ha letto le pagelle,
sbirciato nel cassetto
di paure.
Per le vendette
C'è ancora tempo,
tempo a sufficienza,
prima che i ghiacci eterni
si formino all'interno
dei circuiti.
Al crocevia
-occhi fuori fuoco
per non vedere
le stesse cicatrici
spacciare graffi per indulgenze-
una cena anoressica
prima della partenza
-benvenuto in Antartide,
canteranno le barriere-
Ho una veglia ancora
da spendere.
La riempirò di inerzia
-morte all'attrito!
Mi copro bene la testa
col cappuccio
delle mie dipendenze.
Custode a priori
del bianco impossibile
dell'Antartide.
Alto
Sopra,
in alto senza
piume d'ali,
chiaro come vetro
soffiato via
in un vortice
di bolle calde.
Raggio
di sole fragile,
intermittente
nel volo.
Questi sono
i miei cieli,
le mie correnti
eterne,
ascensionali.
Questa è la mia
immensa nostalgia
per quella terra
dov'è possibile
la meraviglia
dell'Amore.
Io credo che
l'inverno
finirà.
Non prego
per la giusta
direzione,
seguo la pioggia,
e quelle nuvole malate,
gonfie in cielo:
Fenici bianche
ancora da bruciare.
Buone notti d'inverno
(un commiato)
Faceva freddo
dentro la macchina.
C'era sempre
qualcuno che dormiva,
nonostante la musica,
nonostante le chiacchiere;
il rumore ci teneva
occupati,
mentre il tempo fuggiva,
i treni passavano
indifferenti
alla nostra indifferenza,
alla cenere sporca di
giuramenti sul Big Bang,
umida di barzellette,
colpevole di gioventù
Chiudevamo la notte
augurandoci
Buon Domani.
Senza limiti.
Quei commiati sono le radici
della filosofia obliqua
che, attraverso gli anni,
si è rivelata essere
il pacemaker dei miei giorni.
Il mondo dei grandi
Il mondo dei grandi
è uno strano mondo;
un posto dove noia
e frustrazione
innalzano basiliche
di carta,
e chi vorrebbe stare
nei cortili
-a prendere la pioggia,
o per giocare-
viene mandato
a servire messa.
è un covo di pagani
e idolatria,
di compromessi,
di assassini tossici;
le chiavi di
mancati tradimenti
in tasca, accanto
al portafogli.
I bimbi amano il sole.
Loro vedranno
cose che io non vedrò.
I grandi sono schiavi
della tecnica,
le bombe sono il tuono
della Forza
che manca nelle loro
voci bianche.
Che i muri dei motel
siano distrutti!
Che i porci senza debiti
vengano dati in pasto
ai loro cani.
Se un Padre resta sordo
al canto o al pianto
dell'ultimogenito,
venga sepolto senza
cerimonia.